Casa Bianca, 19 ottobre

Con la sua inconfondibile falcata il Presidente raggiunse rapidamente la sala da pranzo informale della residenza privata della famiglia presidenziale. Sorrise calorosamente mentre la sua unica ospite si alzava per stringergli la mano. Era molto più bassa del suo metro e novanta e un po’ tarchiata. Indossava abiti che sembravano acquistati nel reparto “taglie forti” di un grande magazzino e aveva un trucco che pareva steso con la cazzuola. Neanche la luce dorata del mattino filtrata dalle finestre che si affacciavano sul Giardino delle Rose riusciva ad addolcire il suo collo raggrinzito e la mascella squadrata. Una donna che strideva con il mondo dominato dagli slogan dei media e dall’esteriorità. Era una che aveva lavorato sodo, rifuggendo lo sguardo indiscreto dei giornalisti, arrivando alle alte cariche del governo grazie alla sua determinazione, e per il semplice motivo che era sempre la persona più adatta a svolgere qualsiasi mansione. La sua astuzia e la sua intelligenza l’avevano portata a essere per il Presidente un’amica intima e una consigliera di assoluta fiducia.

“Buongiorno, Connie. Che piacere vederti!” disse il Presidente sedendosi al tavolo proprio di fronte alla segretaria per le politiche energetiche, Constance van Buren.

Lei lisciò la gonna di tessuto sintetico nero sulle gambe inguainate nelle calze di nylon e si rimise a sedere.

“Ormai dovresti conoscermi, non rinuncio mai a scroccare una colazione gratis.”

“Allora, che novità ci sono? spara.”

Connie bevve un sorso di caffè, con uno sguardo che preannunciava una battuta di spirito.

“Non dirmi che non te l’avevo detto, perché questa ti farà male. Stu Hanson dell’EPA l’ha sentita ieri sera in un talk-show di seconda serata.” Fece una pausa. “Secondo i media, i tuoi ultimi sondaggi sono così mosci che neanche il viagra riuscirebbe a tirarli su.”

Il Presidente scoppiò a ridere, e mentre lui e la vecchia amica ricominciavano a stuzzicarsi, i segni della tensione svanivano dai suoi occhi. Quegli incontri erano ufficialmente dedicati ad aggiornare il Presidente sulle questioni energetiche, ma in realtà gli servivano come decompressione dalle tensioni che la sua posizione portava con sé. Effettivamente in quelle colazioni a cadenza bimestrale i due sbrigavano parecchio lavoro, ma entrambi le aspettavano con gioia per il piacere che traevano dalla reciproca compagnia.

“Stavo pensando, Connie… quando Lloyd Easton del Dipartimento di Stato viene a colazione, si porta sempre due assistenti, quattro valigette e un fax portatile nel caso in cui succeda qualcosa mentre lui si trova qui.”

“Già. Lloyd ha perso il suo senso dell’umorismo in un momento imprecisato, tra quando è stato accettato al Mensa e quando ha ricevuto la sua chiave del Phi Beta Kappa. Il fatto è che voi baldi giovani che state nelle stanze dei bottoni vi dimenticate che il vostro è solo un lavoro. Un lavoro importante, ma è solo un lavoro. Io continuo a trascorrere i fine settimana con i miei nipotini, a infornare biscotti e a infamare mia figlia per aver sposato un marito pigro, e a fare tutte le altre cose che fa la gente normale.”

Un’ombra attraversò lo sguardo del Presidente prima che iniziasse a parlare. “Te l’ho detto che non intendo ricandidarmi, vero?”

“Mi hai detto che ci stavi pensando.” Annuì. “Mi sembra una buona idea. Sappiamo entrambi che il tuo matrimonio è in bilico. Tu e Patricia avete bisogno di passare del tempo insieme. E poi, non sono informata sulla tua salute, ma non ho mai visto tremare le tue mani alle otto del mattino.”

Il Presidente abbassò lo sguardo sulle sue mani affusolate e rimase scioccato nel notare il leggero tremore. “Gesù, non so proprio come uno possa arrivare a pensare di cacciarsi in un secondo mandato.”

“La maggior parte dei tuoi predecessori non ha mai dovuto fare le scelte pesanti che hai dovuto affrontare tu per rimettere in pista questo paese, non si sono mai dovuti confrontare con la tensione politica che ti circonda.”

“Come la faccenda del petrolio.”

“Come la faccenda del petrolio” concordò Connie van Buren.

Oppositori e sostenitori erano tutti concordi nel sostenere che, a soli nove mesi dall’inizio del suo mandato, il Presidente aveva commesso un suicidio politico. Nel suo discorso alla nazione in prima serata, aveva illustrato il suo programma per la politica energetica. Il Presidente voleva che entro dieci anni gli Stati Uniti si rendessero indipendenti dalle fonti di petrolio straniere. Grazie a fondi discrezionali speciali l’amministrazione avrebbe finanziato programmi massicci per la creazione di nuove fonti energetiche in tutto il paese. Immaginava una nazione alimentata in modo pulito, città libere dallo smog e dai disastri ecologici che avevano devastato gli anni ottanta e novanta. Pale eoliche installate nelle grandi pianure e impianti solari installati nel Sudovest del paese. Aveva proposto anche di installare un impianto per lo sfruttamento dell’energia delle maree al largo delle coste del Maine: da solo sarebbe bastato per dare energia a tutta la città di Boston.

Il bikinio, un elemento appena scoperto dotato di insolite proprietà elettromagnetiche, sarebbe stato utilizzato per moltiplicare l’energia elettrica prodotta dalle centrali, per poi trasformarsi esso stesso in una fonte di energia. L’industria automobilistica, che aveva quasi abbandonato la tecnologia delle batterie elettriche perché non era redditizia, sarebbe stata obbligata a sviluppare automobili elettriche. Alla fine del programma decennale ideato dal Presidente, la metà delle auto in circolazione sarebbe stata elettrica. Aveva dichiarato che la tecnologia era disponibile, e che l’America doveva solo trovare il coraggio di usarla.

Il Presidente aveva lanciato alla nazione una sfida imponente, e la gente sembrava ansiosa di raccoglierla. I cittadini erano galvanizzati dallo stesso ottimismo che aveva caratterizzato la vittoria di Kennedy al suo annuncio che avrebbero visto l’uomo arrivare sulla luna. Gli ambientalisti intravedevano la fine gloriosa della spietata distruzione dell’ambiente causata dai combustibili fossili. Gli economisti concordavano sul fatto che la transizione sarebbe stata difficile, ma che il blocco delle importazioni di petrolio avrebbe contribuito ad appianare i decenni di squilibrio nella bilancia commerciale. I tecnocrati non vedevano l’ora di veder apparire la tecnologia che avrebbe liberato l’America dalla sua dipendenza dal petrolio. E il Dipartimento di Stato non vedeva l’ora di vedere sparire l’asso nella manica della diplomazia del Medio Oriente, la minaccia di un altro embargo sul petrolio.

Nel giro di poche settimane dall’avvio del suo piano, la politica avrebbe allentato la sua morsa.

Le sette più grandi compagnie petrolifere del mondo, note come le Sette Sorelle, insieme vantavano un potere superiore a quello di molte nazioni industrializzate. Erano consapevoli che il loro mercato principale stava per svanire e avevano iniziato a esercitare una massiccia pressione. Attuando un vero ricatto economico, le Sette Sorelle cominciarono a far salire il prezzo dei carburanti di dieci centesimi alla volta, arrivando quasi a raddoppiarlo. Quindi, con discrezione presero a far circolare negli ambienti giusti la voce che i prezzi avrebbero continuato ad aumentare se non fossero state fatte certe concessioni. Il Presidente era abbastanza realista da sapere che i giganti del petrolio erano in grado di trascinare l’economia globale in un gorgo in confronto al quale la Grande Depressione sarebbe sembrata un periodo di boom.

Raccogliendo tutto il sostegno politico che aveva seminato durante i suoi mandati alla Casa Bianca e al Senato e impegnandosi in promesse che per essere onorate lo avrebbero impegnato per tutto il resto del suo mandato attuale, il Presidente mise in atto una pressione sul Congresso affinché il Rifugio Nazionale della Fauna Artica venisse aperto all’esplorazione. I milioni di ettari della tundra vergine lungo le coste settentrionali dell’Alaska e a est della baia di Prudhoe erano l’ultimo giacimento nazionale rimasto, immerso in uno degli ecosistemi più delicati del mondo. Si sapeva che il Rifugio Artico conteneva depositi molto più estesi di quelli di Prudhoe, ed era un tesoro a cui le Sette Sorelle facevano la corte da anni. Era il prezzo che chiedevano in cambio della loro collaborazione, e il Presidente era riuscito ad accontentarle. La legge era stata fatta passare in sordina all’ultimo minuto, all’interno di un pacchetto di altre disposizioni, zittendo in anticipo qualsiasi dibattito. Quando le lobby e gli attivisti ambientalisti scoprirono ciò che stava succedendo, era già troppo tardi.

Sino ad allora le preoccupazioni per l’ambiente avevano bloccato ogni tentativo di apertura del Rifugio Artico allo sfruttamento. Tuttavia, per il Presidente si era trattato di una scelta obbligata, ed era sicuro di aver scelto il minore dei mali. Era consapevole del fatto che nonostante qualsiasi precauzione le compagnie avessero messo in campo nella loro scalata alla nuova fonte di greggio, la regione sarebbe stata devastata e rovinata per sempre. Ma sapeva anche che era un prezzo ragionevole, se la sua nuova politica avesse effettivamente dato una vita più sana al paese e, alla fin fine, a tutto il mondo.

Non si sarebbe mai aspettato che la nazione reagisse in modo così aggressivo alla notizia dell’accordo. Era come se ogni cittadino si fosse trasformato in un paladino del Rifugio Nazionale della Fauna Artica. Anche quelli che non riuscivano neanche a trovare l’Alaska sulle carte geografiche avevano improvvisamente iniziato a sputare statistiche sui danni che l’esplorazione petrolifera avrebbe recato alla flora e alla fauna selvatiche. Manifesti, magliette e ospiti di talk-show si materializzavano dal nulla. Le volpi artiche e gli orsi polari divennero istantaneamente delle star televisive: l’etere era saturato da ore e ore di programmi dedicati a sostenere la loro causa. Mandrie tuonanti di caribù attraversavano galoppando gli schermi ogni sera, mentre dei serissimi commentatori spiegavano come nell’arco di diciotto mesi dall’avviamento della prima piattaforma sarebbero stati quasi estinti. La gente si sentiva oltraggiata, e dopo ogni annuncio del Presidente nascevano come funghi nuovi gruppi ambientalisti.

Le azioni di boicottaggio contro le compagnie petrolifere che avevano ottenuto le licenze di perforazione stavano esplodendo in tutto il paese. La compagnia più combattiva, la Petromax, aveva avviato un procedimento legale contro alcuni dei gruppi che avevano organizzato le proteste, tra i quali Greenpeace. Greenpeace accolse di buon grado l’attenzione dei media che si sarebbe scatenata attorno a un eventuale processo. Volevano mandare nel Prince William Sound, in segno di sfida, la loro nave, la Rainbow Warrior III, che però al momento era nel Pacifico meridionale a protestare contro l’ultima serie di test nucleari organizzati dalla Francia.

Quella che era partita come la grande occasione per risolvere finalmente molti dei problemi degli Stati Uniti si era trasformata in una battaglia campale che divideva la nazione come non era più successo dai tempi del Vietnam. Come era già successo per molte altre decisioni difficili, erano tutti convinti della validità del programma per le politiche energetiche, ma nessuno voleva pagare il prezzo necessario al suo successo.

Il Presidente e la segretaria per le politiche energetiche van Buren avevano affrontato insieme la tempesta, reggendo critiche anche più pesanti di quelle attuali, a un anno dall’avvio del programma, quando uomini e macchinari cominciavano ad ammassarsi nella riserva per iniziare le trivellazioni. La gente sembrava essersi dimenticata dei vantaggi della moratoria del Presidente sulle importazioni di petrolio. L’unica cosa che importava era la protezione della tundra artica e dei suoi abitanti, anche se ciò equivaleva a vedere un’altra generazione soffocata dallo smog, dalle piogge acide e dai gas serra.

“Non ti chiederò se abbiamo fatto la cosa giusta” disse il Presidente con un tono affaticato, visto che ne avevano parlato milioni di volte. “Io so che ho ragione. Abbiamo bisogno di liberarci della dipendenza dal petrolio. Punto. Con il tasso attuale di consumo il pianeta rimarrà comunque senza greggio entro la metà di questo secolo, quindi perché non prepararsi? L’Europa e il Giappone andranno pazze per la nostra tecnologia pulita, e noi guideremo il gioco. Possibile che nessuno riesca a capire che questa è la strada migliore?”

Connie van Buren aveva già sentito tutti quei ragionamenti e non disse nulla. Sebbene non fosse particolarmente conosciuto dalla gente comune, il Dipartimento per l’Energia era uno dei luoghi preferiti dalle Sette Sorelle per esercitare pressioni su tutte le problematiche legate al petrolio. Connie aveva subìto pressioni anche più forti di quelle ricevute dal Presidente, ma con la perseveranza tipica delle donne aveva incassato critiche e lamentele senza battere ciglio, tenendo sempre un orecchio pronto ad accogliere gli sfoghi e la frustrazione del Presidente.

“I vantaggi a lungo termine di quello che ho proposto hanno una portata molto più ampia di quella della distruzione del Rifugio della Fauna Artica e per di più, accidenti, non sta scritto da nessuna parte che gli animali saranno spazzati via per sempre come dicono tutti quegli uccelli del malaugurio.”

Quell’ultima frase risuonò stridente persino ai suoi orecchi nel momento stesso in cui la pronunciava. La flora e la fauna della costa settentrionale dell’Alaska non si trovavano in nessun altro luogo al mondo ed erano così fragili che anche un danno di lieve entità poteva rivelarsi irreversibile. Il muschio artico ci metteva almeno cento anni a ripristinarsi dopo il passaggio di un veicolo leggero: una volta che fossero state costruite le piattaforme, le condotte e tutte le altre infrastrutture, la terra non sarebbe mai più tornata come prima.

“Ma Cristo” proseguì il Presidente con voce tonante, “è un prezzo contenuto.”

Connie alzò le mani come per difendersi e disse: “Guarda che io sono dalla tua parte.”

“Scusami.” Sorrise dispiaciuto. “È tutta questa pressione… come diavolo fai tu a gestirla?”

Connie rise. “Mi limito a ricordare a tutti quanti che l’arsenale nucleare americano è sotto la giurisdizione del Dipartimento per l’Energia. Ricordo loro che controllo oltre ventimila testate e che sono incline a tremende sindromi premestruali. In genere si danno una calmata.”

Il Presidente sorrise stancamente. “Quali sono le ultime novità sugli attivisti dei diritti dei nativi?”

I diritti dei popoli dell’Alaska erano diventati uno degli argomenti più scottanti. Connie si spostò sulla sedia, sistemando le posate sul piatto di porcellana accanto a un mucchietto di uova e pancetta ormai fredde e raggrumate. “Per adesso sembrano abbastanza tranquilli. Dato che non godono della stessa visibilità internazionale dei grandi gruppi ambientalisti, i difensori dei nativi stanno tenendo un basso profilo e aspettano di vedere se l’amministrazione sosterrà l’iniziativa. Anche se ho sentito che Amnesty International sta minacciando di dichiarare tutti gli inuit prigionieri politici degli Stati Uniti se noi continuiamo a violare i loro diritti sulla terra.”

“Oh Cristo!” esclamò il Presidente. “E questo secondo te sarebbe un basso profilo?”

“In confronto a quello che ha fatto un gruppo che si chiama PEAL, questo è niente.”

“PEAL?” Chiese corrugando le folte sopracciglia. “Non li ho mai sentiti nominare. Sono un altro gruppo ambientalista?”

“Assomigliano di più a degli ecoterroristi.”

Connie sollevò da terra una valigetta in tessuto e la appoggiò sul tavolo. Dopo aver frugato per un po’ tra le cianfrusaglie di cui era piena, estrasse una cartellina e la porse al Presidente.

“Questo è il dossier preparato dall’Interpol sui crimini in cui la PEAL è coinvolta in Europa, direttamente o indirettamente. E solo nell’ultimo anno.”

Mentre il Presidente sfogliava i resoconti di attentati, proteste e aggressioni, Connie van Buren gli illustrò brevemente i trascorsi dell’organizzazione.

“PEAL sta per Planetary Environment Action League. Fu fondata quattro anni fa da un professore olandese di scienze, caduto in disgrazia nel mondo accademico tradizionale. Jan Voerhoven è il classico esempio del leader affascinante e carismatico. È giovane, non ancora quarantenne, di bell’aspetto, proviene da una famiglia ricca e rinomata di Amsterdam e ha un’intelligenza superiore alla media.”

Connie sembrava conoscere a memoria la storia che stava raccontando al Presidente. Si capiva che aveva letto e riletto i documenti decine di volte.

“Fino all’anno scorso la PEAL è stata relativamente poco attiva. I suoi membri hanno stampato dei volantini e Voerhoven ha tenuto dei discorsi durante le manifestazioni in giro per l’Europa occidentale, ma il gruppo era piuttosto esiguo, appena un centinaio di attivisti. Tra gli ambientalisti sono in molti a considerarli un po’ troppo radicali.

“Voerhoven professa una comunione pseudo-religiosa con la natura, una visione in cui i diritti dell’uomo vengono al secondo posto dopo quelli della Terra. Dopo che i monsoni avevano ucciso undicimila abitanti nei villaggi del Bangladesh, è andato là ad accusare i sopravvissuti di depredare la natura di ciò che le appartiene. Lo scorso dicembre dopo che ci fu una perdita di acqua di raffreddamento non radioattiva da un reattore in Francia, la PEAL divenne famosa perché Voerhoven sfidò il direttore dell’impianto a berla. Fu un evento mediatico di proporzioni epiche, perché il direttore è un soggetto poliallergico e può bere solo acqua distillata, un fatto di cui Voerhoven era perfettamente al corrente.

“Dall’inizio di quest’anno la PEAL è diventata il gruppo ‘in’ al quale aderiscono tutti i contestatori di professione. Il numero degli iscritti e il budget sono aumentati vertiginosamente. In marzo hanno comprato una nave da ricerca tenuta nella naftalina e l’hanno ribattezzata Hope. Hanno aperto uffici satellite a Londra, Parigi, New York, Washington e San Francisco e hanno cominciato a diventare aggressivi.

“Alcuni membri del gruppo sono stati arrestati in Mozambico e trovati in possesso di esplosivo sufficiente a far saltare la diga di Cabora Bassa. In Brasile hanno rivendicato la demolizione di macchinari che servivano per la deforestazione, per un valore di dieci milioni di dollari. Nello stato di Washington un attivista della PEAL è stato accusato di omicidio dopo che il tondino di ferro che aveva inserito in un tronco d’albero ha fatto rimbalzare indietro la sega a catena di un taglialegna, causandone la morte. E il tuo segretario degli Interni si è trovato davanti alla porta di casa un sacco pieno di gufi maculati morti, sacco su cui era stampato il logo della PEAL. Non si fermano davanti a niente.

“Hanno distrutto alcune stazioni di servizio in Germania, Olanda e Belgio, sono sospettati di essersi intrufolati in un’azienda e di aver distrutto esperimenti di laboratorio del valore di svariati milioni di dollari. Sono penetrati nei laboratori e hanno liberato gli animali, molti dei quali infettati con batteri e vaccini sperimentali dagli effetti collaterali sconosciuti. In breve, sono motivati, economicamente forti e pericolosi. E il loro prossimo obiettivo sarà senz’altro l’Alaska.”

Il Presidente era scioccato dal racconto di Connie. “Come fai a esserne così sicura?”

“Perché la loro nave, la Hope, è ancorata nel Prince William Sound, appena fuori dalla zona di sicurezza creata attorno ai corridoi di accesso delle petroliere che entrano a Valdez, e perché si dice che Voerhoven sia a bordo.”

“Hanno intrapreso qualche azione?”

“Non ancora, ma secondo me la loro sola presenza rappresenta una minaccia, non credi?”

“Dopo tutto quello che mi hai raccontato, direi di sì” concordò il Presidente, “ma non c’è niente che possiamo fare.”

“So che legalmente hanno tutto il diritto di stare lì, ma farò in modo che, se succede qualcosa, loro siano i primi a essere sospettati.”

“Avvertirò Dick Henna dell’FBI di tenere gli occhi aperti.”

“L’ho chiamato appena ho saputo che la Hope era diretta in Alaska. Mi ha promesso che sarebbe stato sul chi va là.” L’ultima frase sembrava avere un tono scherzoso, ma gli occhi di Connie erano di pietra, e le sue labbra erano tese. Era serissima. E molto spaventata.